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Romanza per flicorno

di František Hrubín

Traduzione di Maria Elena Cantarello

Formato 11,5 x 19,5
96 pagine
Prezzo: € 8,50
Sconto -15% (Prezzo di copertina € 10,00)
Anno di pubblicazione: 2011
ISBN 978-88-902274-8-6


Il libro

La campagna boema dei primi anni Trenta fa da sfondo alla storia d’amore e di morte fra uno studente di Lettere e una giovane giostraia in questo diario in versi di František Hrubín (1910 – 1971), poeta considerato ormai un classico della letteratura ceca del Novecento. In un sapiente gioco di anticipazioni e rimandi dai forti tratti autobiografici l’autore rivive nel ricordo il primo innamoramento e la contemporanea agonia dell’anziano nonno. La vicenda personale tuttavia è soltanto il punto di partenza per una serie riflessioni sulla natura dei sentimenti umani, sull’essenza della poesia e sul significato del tempo, che in ogni istante contiene presente, passato e futuro. Quella di Hrubín è poesia del quotidiano, un quotidiano che diviene però straordinario nel momento in cui lo vediamo con i suoi occhi, quando le macchie d’ortica diventano foreste vergini e si può udire anche l’ultima scintilla del grillo in autunno. La poesia si fa qui racconto e avvince il lettore, lo commuove e lo incanta in un susseguirsi di immagini mai banali che illuminano la realtà di una luce insospettata e si imprimono indelebili nella memoria.

A quarant’anni dalla scomparsa, Poldi Libri (dopo Azzurro cielo) presenta la prima traduzione italiana del suo capolavoro, Romanza per flicorno.

[M. C.]

L’autore

František Hrubín (Praga, 1910 – České Budějovice, 1971)

HrubinFrantišek Hrubín, poeta ma anche drammaturgo, prosatore e traduttore, non si può definire un autore «rivoluzionario». La sua poesia non rappresenta una rottura con la tradizione precedente, anzi, per molti aspetti la sua è una poesia «tradizionale». Nato nel 1910, è esponente di quella generazione di mezzo che non rientra ormai più nelle avanguardie e precede la «nuova onda» degli anni Sessanta.

Allievo e amico di J.Seifert, F.Halas, J.Hora, J.Zahradníček, della cui influenza troviamo lievi tracce soprattutto a livello formale nelle sue prime poesie, riesce ben presto a trovare la sua personale dimensione poetica.

Sin dalle prime raccolte (Zpíváno z dálky, 1933, -Cantato da lontano-; Krásná po chudobě, 1935 -Bella di povertà-) sono infatti presenti alcuni dei temi e dei motivi che Hrubín svilupperà in tutta la sua produzione: la natura e l’amore, il legame con la terra, la consapevolezza della fugacità, dell’ineluttabile declino umano. Egli rimane coerente sempre e profondamente per tutto il suo percorso poetico: la costante presenza di alcune immagini, la fedeltà ad alcuni paesaggi e ad alcune idee portanti della sua poesia non sono mera ripetizione, ma un continuo andare oltre, in cui ogni ritorno è un ritorno a se stessi, alla ricerca di valori che permangano nonostante lo scorrere del tempo e la fragilità dell’esistenza umana. Sono valori che Hrubín trova innanzitutto nella terra, negli affetti, nel perpetuarsi della vita di generazione in generazione, nella responsabilità di ognuno verso chi l’ha preceduto e verso coloro che verranno.

Hrubín è poeta con i piedi saldamente appoggiati alla terra ma con lo sguardo rivolto al cielo, ai misteri dell’universo a cui guarda con un misto di attrazione e paura. Vive profondamente il proprio tempo con tutte le sue contraddizioni: è affascinato dai primi viaggi nello spazio, dalle scoperte tecnologiche, ma atterrito dalla tragedia atomica, dagli orrori della guerra.

Non diventa mai poeta di regime, anche se subito dopo la guerra aderisce agli ideali socialisti; ma proprio il regime, dal 1948 al 1956, gli permetterà di pubblicare solo testi per bambini e traduzioni.

La poesia per bambini non è mero ripiego: il mondo dell’infanzia è, in un certo senso, il mondo dell’armonia, della sicurezza e dell’ordine. Il poeta sviluppa la tradizione orale, vede nella filastrocca popolare una sorta di pre-poesia per bambini. Nelle filastrocche, conte e indovinelli cerca l’immediatezza e la giocosità dell’espressione. In tutta la sua produzione attingerà da questo patrimonio popolare, sia riscrivendo in versi e in prosa le favole tradizionali, sia recuperandone i giochi di parole. Non si limita però a questo recupero delle tradizione, inventa per i bambini poesie e favole nuove, tuttora lette e amate. Collabora inoltre alla fondazione della rivista per bambini «Mateřídouška» (Timo serpillo) e del periodico specializzato sulla letteratura per l’infanzia «Zlatý maj» (Maggio dorato).

Nel secondo dopoguerra aumenta sempre più l’attenzione e lo sgomento di fronte alla storia contemporanea: le raccolte Hiroshima (1948), Můj zpěv [Il mio canto, 1956], Proměna [Metamorfosi, 1957] testimoniano la sua speranza verso una nuova armonia possibile tra uomo, opere dell’uomo e natura. L’idea dell’uomo responsabile della vita umana si contrappone a quella dell’uomo artefice di morte: così l’esistenza umana può riacquistare il suo valore.

Con Romance pro křídlovku [Romanza per flicorno, 1962] Hrubín torna ad un vecchio tema della propria giovinezza: l’amore per una ragazza che muore prematuramente. Il poema presenta marcati tratti epici e drammatici, il testo passa dall’alta liricità delle metafore alla semplicità del ceco parlato senza soluzione di continuità. È un poema di opposti: all’amore sensuale e corporeo si contrappone l’incanto del primo innamoramento; la morte è sia culmine naturale della vita, sia prematura scomparsa; la vita è vertigine di gioiosa eccitazione, ma al tempo stesso peso superiore alle forze umane.

Un’analoga compresenza di elemento autobiografico e creazione poetica è presente anche nelle ultime opere: nel ciclo di poesie-sogni Černá denice [Nera stella del mattino, 1968], caratterizzato dal continuo alternarsi di vivi e morti e in Lešanské jesličky [Il presepio di Lešany, 1970], ambientato nella regione in cui il poeta trascorse l’infanzia al tempo della Prima guerra mondiale. Alla storia del traghettatore Josef, di sua moglie Marie e del figlioletto in pericolo e poi salvato – con chiara allusione ai Vangeli – si sovrappone l’esperienza personale del poeta bambino: «ricordo che papà è andato in guerra e aspetto che torni, ho quasi cinque anni, da quel momento ricorderò sempre qualcosa e aspetterò sempre qualcosa.»

Il primo marzo 1971, a České Budějovice, František Hrubín muore qualche giorno dopo un’operazione, stroncato da un male incurabile. Le sue spoglie riposano al cimitero di Vyšehrad a Praga.

Nel 1956, al II congresso degli scrittori cecoslovacchi, criticando insieme al poeta Jaroslav Seifert la politica culturale del Paese, Hrubín aveva esortato gli scrittori a «vivere e lavorare in modo che la gente non ci rinneghi, che ci rispetti come artisti, non corrompibili da niente e da nessuno».

[M.C. e V.T.]