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Assemblea generale – La luce dimenticata

Assemblea generale - La luce dimenticatadi Richard Weiner e Jakub Deml

Presentazione e cura di Salvatore Marchese
Traduzione di Sergio Corduas
con uno scritto di Sergio Corduas

Formato: 11,5 x 19,5
112 pagine
Prezzo: € 8,00
Sconto -20% (Prezzo di copertina € 10,00)
Anno di pubblicazione 2007
ISBN: 978-88-902274-6-2


Assemblea generale

Una cittadina, in cui il tempo più che essersi fermato pare inesistente, vive la propria banalità nelle ripetitive e immutabili attività della locale Lega Antialcolica. I membri di tale lega, abituati ormai da anni a rieleggere lo stesso presidente e a votare il medesimo ordine del giorno, assisteranno quasi in stato di semicoscienza e atavico orrore ad una rivoluzione in piccolo. Utile o vana, nata da scatto non cosciente, quasi un singhiozzo del subconscio, essa svelerà l’ordine delle cose, la forma della realtà, se non altro a chi l’ha cagionata.
In questo testo contenuto in Lazebník (Il barbiere) del 1929 Weiner sfida più che condurre il lettore attraverso una prosa complessa e articolata in incisi, rimandi e riprese fino ad assuefarlo con uno stile ironico e aggressivo di sapore espressionista. Anzi all’inizio stesso della novella avverte esplicitamente che “a coloro anche che, sicuri della propria superiorità, ci guardano con scherno, a tutti costoro diamo ragione; ma voltiamo loro le spalle e continuiamo.”

La luce dimenticata

ZapomenuteQuando nel 1967 Bohumil Hrabal compone una breve quanto personale antologia di autori cechi, accanto ai più classici Jan Neruda e Karel Jaromír Erben pone un testo ancora indigesto a pubblico e critica e in parte finito nell’oblio: Zapomenuté světlo (La luce dimenticata) dello scrittore, poeta e sacerdote Jakub Deml.

Amaro bilancio di mezza vita, sfogo crudo e irrefrenabile di un momento particolarmente difficile per l’autore, resa dei conti con i propri detrattori o presunti tali, nonché constatazione e accettazione di una situazione materiale, emotiva e psichica non più tollerabile, La luce dimenticata al momento della sua prima pubblicazione nel 1934 destò notevole scandalo, venne prima confiscata e censurata in più parti, trovando vero ed entusiastico apprezzamento in pochi, tra questi Roman Jakobson, il quale ebbe modo di definirla «il più tragico libro ceco».

La tragicità di Zapomenuté světlo è conseguenza diretta della sua autenticità: di fronte alla spietatezza della vita, all’assenza di Dio e di comprensione dei suoi simili, Jakub Deml rifiuta ogni illusione salvifica, anzi pesca a piene mani negli aspetti più crudi e dolorosi dell’esistenza senza nulla celare né sublimare – unico modo per ritrarre la realtà nella sua integrità. Tutto ciò che Deml vede, sente o prova viene registrato fedelmente e senza censure, così senza un’apparente logica letteraria si giustappongono pensieri, giudizi, descrizioni di precisione tattile, aneddoti, anatemi, critiche, desideri, ricordi. All’autenticità vengono sacrificate pure forma e stile: un flusso continuo di parole che non è flusso di coscienza, bensì è riconoscimento e ricostruzione del modo di parlare e considerare, unendo casomai per analogia e automatismo – caratteristiche che ritroveremo in parte nello stesso Bohumil Hrabal. Allo stesso modo la brama di unire l’alto al basso, il sublime all’infimo, di assemblare il bello e il brutto, la gioia e l’amarezza è dichiarazione di realismo.

La versione dell’opera che qui presentiamo è la riduzione operata nel ’67 da Hrabal: una cernita e un montaggio che rifocalizzano il fluire delle parole attorno all’avvenimento più triste e crudo – la morte – metafora e bilancio del presente di Deml, corrispondenza e simbolo della sua condizione esistenziale.

Gli Autori

Richard Weiner (Písek 1884 – Praga 1937)

Richard WeinerFiglio maggiore di una famiglia ebraica della Boemia meridionale, è destinato a continuare l’attività industriale del padre e si laurea a Praga in chimica compiendo in seguito degli apprendistati in alcune città tedesche. Già negli anni di studio compone versi e durante il primo soggiorno parigino (1912) l’attività e l’interesse letterari si fanno preponderanti. Non volendo tradire le aspettative dei genitori, pubblica inizialmente sotto pseudonimo e cerca vanamente di compiacersi della carriera di ingegnere chimico. Tornato a Parigi diviene corrispondente di periodici e presto pubblicherà un primo ciclo di poesie (Pták, 1913).

Durante il primo conflitto mondiale viene richiamato alle armi e inviato sul fronte serbo; sarà un’esperienza traumatica – tradotta in seguito in racconti di guerra (Lítice 1916) – che in un solo anno lo porterà ad una fortissima crisi nervosa, tanto da essere esonerato dal servizio. I soggiorni parigini si faranno più frequenti e lunghi malgrado la raggiunta indipendenza della Cecoslovacchia: se aveva considerato l’Impero Austro-Ungarico «un Nulla sociologico», nella neonata repubblica avverte un orizzonte ristretto e «un’aria avvelenata». Da Parigi come corrispondente invia resoconti particolareggiati della vita culturale e artistica, registra per primo la nascita di nuovi movimenti – dal Dadaismo al Surrealismo – e a lungo sarà vicino al gruppo di giovani intellettuali detti Simplisti riuniti attorno alla rivista Le Grand Jeu, i quali indagavano i limiti della coscienza anche attraverso stati di alterazione psichica nel tentativo di superarli. Il carattere spesso insoddisfatto e conflittuale, l’inizio di una malattia mal diagnosticata lo porteranno a scelte sempre più solipsistiche; a ciò si aggiungeranno le preoccupazioni per la situazione politica europea e il dissenso nei confronti della posizione francese: nel 1932 fa ritorno a Praga. Il tumore ormai incurabile lo consumerà lentamente fino alla morte il 3 gennaio 1937.

Erroneamente considerato in vita un surrealista, Weiner per temi e scrittura va piuttosto ricondotto, se una definizione bisogna dargli, ad un filone espressionista. Mentre i primi versi si avvicinano a contemporanee tendenze vitalistiche (Karel Čapek), la successiva produzione diviene sempre più una ricerca personalissima di quelle zone grigie tra conscio e inconscio, laddove il singolo agisce quasi irrazionalmente – aldilà della propria volontà – superando gli stessi concetti di bene e male. Ciò è contemporaneamente ricerca di assoluto, non in senso morale né propriamente religioso: piuttosto Weiner sembra trovare in tale percorso la ragione stessa dello scrivere, la materia di indagine della letteratura stessa. L’impossibilità dell’uomo di uscire dal conscio e dal razionale per poter capire e afferrare l’assoluto conducono Weiner su posizioni nichiliste, allo scrittore non resta quindi che descrivere l’impotenza di sé e dell’uomo di fronte a forze che non controlla. L’accettare il male come controparte del bene, amplificare il sé individuale o sopprimere tutto ciò che di individuale vi è nell’esistenza umana restano in definitiva interrogativi irrisolti e irrisolvibili. Il modus scrivendi di Weiner non è né di getto né di ispirazione, bensì ponderatissimo sia nella scelta di arcaismi e parole inusuali nonché francesismi che nell’uso di una sintassi spesso non facile ma originalissima.

[S.Mar.]

Opere di Richard Weiner

Pták, Praha, Otakar Janáček, 1913.
[L'uccello - poesie]
Usměvavé odříkání, Praha, Nakladatelství Aloisa Srdce, 1914.
[Il rinunciare sorridendo - poesie]
Lítice: povídky o vojně, Praha, František Borový, 1916.
[Le Furie: racconti di guerra - prosa]
Netečný divák a jiné prózy, Praha, František Borový, 1917.
[Lo spettatore indolente e altre prose - prosa]
Rozcestí, Praha, František Borový, 1918.
[Crocevia - poesie]
Třásničky dějinných dnů, Brno, Polygrafie, 1919
[Piccole frange di giornate storiche - raccolta di elzeviri]
Škleb, Praha, Nakladatelství Aloisa Srdce 1919.
[Il ghigno - racconti]
Mnoho nocí, Praha, Aventinum, 1928.
[Molte notti - poesia]
Zátiší s kulichem, herbářem a kostkami, Praha, Aventinum, 1929.
[Natura morta con nottola, erbario e dadi - poesie]
Lazebník, Praha, Aventinum, 1929.
[Il barbiere - prosa]
Mezopotamie, Praha, Nakladatelství Aloisa Srdce, 1930
[Mesopotamia, poesie]
Hra doopravdy, Praha, Kvasnička & Hampl, 1933.
[Il gioco sul serio - prosa]

Bibliografia su Richard Weiner

Chalupecký Jindřich, Richard Weiner, Praha, Å torch-Marien, 1947.
Chalupecký Jindřich, Richard Weiner in Expresionisté, Praha, Torst, 1992.
Hrlička Josef, Vydávání Richarda Weinera, Souvislosti 2/1997
Hrlička Josef, Richard Weiner, in Souvislosti 3-4/2000.
L‘ opera omnia di Ricard Weiner (inediti e produzione giornalistica compresi) è stata recentemente pubblicata dall’editrice Torst con postfazioni di Marie Langerová e Jarmila Mourková.

Jakub Deml (Tasov 1878 – Třebíč 1961)

La casa di Jakub DemlScrittore precoce, già negli anni del liceo scrive e pubblica, in seguito all’incontro con il poeta simbolista Otokar Březina nel 1896, decide di seguire contemporaneamente una seconda via, quella spirituale: passato agli studi seminariali, nel 1902 viene consacrato prete.

Le due attività entrano presto in contrasto: giudicato di idee anticlericali e spesso in attrito con i cosiddetti «modernisti cattolici», gli viene proibito dal Concistoro di Brno di pubblicare o tradurre. Da questo momento l’intera esistenza di Deml sarà contrassegnata da conflitti con i propri superiori, con le autorità statali, con numerosi scrittori con i quali aveva inizialmente stretto amicizia come Jaroslav Durych e Josef Florian. Spesso gli viene imposto di cambiare parrocchia e città o viene dispensato dalle funzioni sacerdotali, si trova perciò quasi permanentemente in condizioni economiche insostenibili. Per lungo tempo è costretto a dipendere dall’aiuto a volte fortuito di conoscenti o parenti senza poter sciogliere il dilemma che gli si poneva se considerarsi pur sempre sacerdote o ormai unicamente ed esclusivamente poeta.

Gli anni precedenti e immediatamente successivi al primo conflitto mondiale vengono vissuti alla ricerca di una vera e propria identità propendendo infine per quella di poeta anche grazie all’apprezzamento spesso entusiastico delle sue prime opere da parte di critici quali F.X. Šalda, S.K. Neumann, dalla comunità letteraria (Richard Weiner in particolare).

Fondamentali ma fonte di scandalo saranno le presenze femminili a fianco di Deml, prete-non prete che mai aveva accettato il celibato combattendolo addirittura come cosa contro natura e quindi non grata a Dio. Alžběta Wiesenbergerová, colta e affascinante moglie di un industriale, conosce Deml nel periodo in cui questi viene costretto dal Concistoro a trasferirsi a Praga, apprezzandone gli scritti cerca di aiutarlo a pubblicare e farsi conoscere.

La passione che tra i due nasce viene strenuamente combattuta dalla famiglia della Wiesenbergerová, la quale, dopo essere fuggita con Deml nel 1914, verrà rinchiusa in un sanatorio e lì morirà nel 1918. Il dolore della perdita si attenuerà parzialmente nei mesi successivi grazie all’incontro casuale di Deml con Pavla Kytlicová, moglie di un medico: costretto nuovamente a trasferirsi, questa volta in Slovacchia, la Kytlicová lo seguirà condividendone da questo momento fino alla morte di questa (1932) per quattordici anni ristrettezze economiche, trasferimenti da una città all’altra, speranze, progetti, nonché il semplice scandalo di vivere con l’ormai scomodo Jakub Deml.

Diviene in tal modo fedele amica, governante, consigliere, segretaria ma anche editore delle sue opere. La morte della Kytlicová e di Březina, (1929), nonché la sensazione che la comunità letteraria ceca non dimostri ormai alcun interesse per la sua opera, fanno ricadere Deml in una disperazione questa volta non tanto più di natura letteraria quanto esistenziale; la ricerca di una comunità che traducesse il proprio sentire, la quale lo aveva dapprima portato a riporre ogni speranza nella neonata Repubblica Cecoslovacca idealmente slava e cristiana, lo spinge ora ad avvicinarsi alla comunità tedesca: è un’illusione brevissima e pericolosa in quegli anni, finita di fatto con il rifiuto della contessa tedesca Sweerts-Sporcková di legarsi al poeta. È ciò che Deml sente ormai come ultimo tradimento, come ultima prova di una congiura contro la sua persona, ed è ciò che farà sentire Deml privo di una appartenenza certa.

Il rifugio in un cattolicesimo conservatore e odiosamente antisemita, i continui attacchi ai contemporanei, le prese di posizioni umorali e provocatorie lo relegheranno in un isolamento quasi totale e pochi e fedeli ammiratori perdoneranno ormai i suoi eccessi, tra questi Vítězslav Nezval, grazie al cui intervento nel 1948 Deml verrà prosciolto da un processo per collaborazionismo. Un’ultima donna, Marie Rosa Junová, giovanissima ammiratrice dello scrittore, si offre di colmare il vuoto lasciato dalla Kytlicová, restando al suo fianco per ventiquattro anni fin quasi alla morte di Deml nel 1961.

[S.Mar.]

Opere di Jakub Deml (scelta)

Domů, Praga, Kryl a Scotti, 1912.
[A casa - diario]
Hrad smrti, Praga, Dělnická tiskárna, 1913.
[Castello di morte - poesia in prosa]
Moji přátelé, Kr Vynohrady, Kryl a Scotti, 1913
[I miei amici - poesia in prosa]
Pro budoucí poutníky a poutnice, Praga, pubblicato in proprio, 1913.
[Per i futuri pellegrini e pellegrine - prosa, poesia in prosa e annotazioni diaristiche]
Tanec smrti, Tasov na Moravě, pubblicato in proprio, 1914.
[La danza della morte - poesia in prosa]
Miriam, Jinošov na Moravě, pubblicato in proprio, 1916.
[Miriam - poesia in prosa]
Hlas mluví k slovu, Tasov, Pavla Kytlicová, Kryl a Scotti, 1926.
[La voce parla al verbo - prosa]
Tepna, Tasov, Pavla Kytlicová, V. Dvoŕák, 1926.
[Arteria - prosa]
Mohyla, Tasov, Pavla Kytlicová, Kryl a Scotti, 1926.
[Il tumulo - prosa]
Zapomenuté světlo, Moravské Budějovice, Viktor Dvoŕák, 1934.
[La luce dimenticata - prosa]
Píseň vojína šílence, Tasov, Jakub Deml, 1935.
[La canzone del soldato folle - poesia]

In italiano

Maria vagavo, trad. di Salvini, L., in Salvini, L., Il Corallo di S. Venceslao, Brescia, Morcelliana, 1942.
Il lume dimenticato, trad. di Lena Corritore, A., in «L’immaginazione», luglio-agosto 2001.

Bibliografia su Jakub Deml

Babler, O.F., Jakub Deml, in «Rivista di letterature slave», III fasc. IV/VI – 1928.
Chalupecký, J., Jakub Deml, in Expresionisté, Praha, Torst, 1992.
Giusti, W., Due poeti cattolici, in Studi sulla cultura ceca contemporanea, Roma, IPEO, 1932.
Olič, J., Čtení o Jakubu Demlovi, Olomouc, Votobia, 1993.
Penčík, J., Hledání ráje, Kapitoly ze života Jakuba Demla, Tŕebíč, Arca JiMfa, 1996.
Ripellino, A.M., Due studi di letteratura ceca. L’arte di Jakub Deml, in «Convivium» n.3 – 1950.
Rulf, J., Jakub Deml, in Literáti, Pŕíběhy z dvacátého století, Praga, Paseka, 2002.
Wöll, A., Jakub Deml. Leben und Werk (1878-1961). Eine Studie zur mitteleuropäischen Literatur, Köln/Weimar/Wien, Böhlau, 2006

Links:

www.deml.cz/
www.horacko.cz/tasov/demlziv.html
www.souvislosti.cz/archiv/fucik2-91.htm
www.vetusvia.cz/autori_jl/jakub_deml2.html
www.vetusvia.cz/autori_jl/jakub_deml.html
www.portal.cz/scripts/detail.php?id=4043

Recensioni

Il desiderio e la morte

di Franco Marcoaldi

la Repubblica, 1 dicembre 2007> ALMANACCO DEI LIBRI > p.52

Ha senso pubblicare in un unico volume due testi di autori che di primo acchito sembrano aver poco da spartire l’uno con l’altro? Sì, se come scrive il traduttore Sergio Corduas, entrambi questi autori fanno parte dell’ideale costellazione letteraria del grande Bohumil Hrabal, di cui lo stesso Corduas è valentissimo esegeta. Cinque erano i modelli a cui guardava Hrabal: Hasek, Kafka, Ladislav Klima e i meno conosciuti Richard Weiner e Jakub Deml, quegli stessi che compaiono ora – il primo con Assemblea generale, l’altro con La luce dimenticata – in un piccolo e prezioso volume presentato e curato da Salvatore Marchese (Poldi libri). Se la scrittura di Weiner è lenta, avvolgente, vagamente ipnotica, quella di Deml è furiosa, travolgente. Sarà proprio Hrabal, nel 1967, a ripescare dall’oblio la sua Luce dimenticata, scandaloso scritto di un sacerdote che aveva sempre avversato il celibato religioso, considerandolo una cosa assurda, contro natura. In queste brevi pagine il dolore e il desiderio, la pietas, l’eros, la morte, la ricerca sempre più tormentosa di Dio, convergono e si intrecciano in una prosa febbrile, ubriaca, perché «se un uomo parla nel dolore, delira come il folle re Lear». Ma dietro tale delirio c’è un pensiero coerente e paradossale, di certo scandaloso per i benpensanti e totalmente estraneo al canone religioso: solo dopo la morte il desiderio carnale troverà la sua più piena felicità. «Io credo nella vita eterna e so che tutte le cosce risorgeranno dalla tomba e tra loro anche due cosce che desideravo baciare, e Dio me le assegnerà, perché è giusto e la mia eterna beatitudine consisterà nel fatto che mi sarà consentito per i secoli di baciare queste due cosce, proprio in alto, proprio alle radici, perché sono poeta e prete cattolico e uomo maledetto».

Sulfurei autori cechi nel catalogo della Bella Poldi

di Claudio Canal

il Manifesto, 21 giugno 2008> CULTURA & VISIONI > p.15

Nell’attuale panorama editoriale italiano, brutalmente appiattito da processi di crescente concentrazione in tutti i segmenti del settore, si assiste a un proliferare di case editrici piccole e piccolissime, sorte sulla base di scelte culturali precise più che su rigide analisi di mercato. Alcune sono nanoeditrici che, come le nanotecnologie, seguono le logiche della fisica quantistica intrufolandosi arditamente nelle pieghe inaspettate dei saperi e dell’immaginario del pubblico lettore. La Poldi Libri spiazza fin dal nome che, a una prima vaga assonanza, potrebbe suggerire paesaggi olandesi. (Né migliora la situazione la località dove ha sede la casa editrice, Porto Valtravaglia, che cuce insieme in un apparente ossimoro un porto e una valle. Consultato l’atlante si svela l’inganno: trattasi di paese sul Lago Maggiore con valle annessa).

Bisogna essere ferrati «pragomani» per riconoscere nel marchio editoriale il poemetto La bella Poldi del grande scrittore ceco Bohumil Hrabal, dove la bella non è una affascinante ragazza, bensì una meno seducente acciaieria. Infatti Poldi Libri (www.poldilibri.it) si dedica al vasto e profondo serbatoio della cultura ceca, assai poco esplorato in Italia. Ne è un esempio uno dei primi volumi proposti, double face fin dal titolo: Richard Weiner, Assemblea generale, Jakub Deml, La luce dimenticata. Due scrittori che Sergio Corduas traduce per la prima volta in italiano. Due testi che, insieme o separati, restituiscono una idea di letteratura come campo minato da attraversare con i sensi ben svegli, sorta di zigzag mentale ad alta frequenza.

Richard Weiner (1884-1937) è uno dei principali scrittori cechi del secolo scorso. Karel Capek nel necrologio lo aveva definito «uomo del dolore» per le perduranti tensioni che segnarono la sua vita. In Assemblea generale il carattere dodecafonico della sua scrittura è palese. Le vicende di una Lega Antialcolica di una qualunque cittadina boema sono narrate con inattesi ritorni periodici di frasi, secondo una frammentazione del discorso che non rappresenta la crisi del linguaggio tanto in voga allora, quanto piuttosto lo svaporamento di una realtà unica, accessibile e lineare. La piena ironia dello stile ha la funzione di una teologia negativa che racconta come la realtà, la banale realtà di tutti i giorni, sia irreperibile, nonostante le apparenze. Una letteratura che non fa presa sulla realtà perché è quest’ultima a non aderire a se stessa.

L’altro ospite di questo smilzo libro è un prete cattolico, un anarchico mistico che ha messo in agitazione la chiesa cattolica e quella comunista: Jakub Deml (1878-1961). Come scrive Corduas nella preziosa postfazione «è una scrittura carnale, questa del prete narcisista, ricca e prorompente» . Una scrittura che fa pensare a un Céline boemo: «…perché io credo nella vita eterna e so che tutte le cosce risorgeranno dalla tomba e tra loro anche due cosce che desideravo baciare, e Dio me le assegnerà, perché è giusto e la mia eterna beatitudine consisterà nel fatto che mi sarà consentito per i secoli di baciare queste due cosce, proprio in alto, proprio alle radici, perché sono poeta e prete cattolico e uomo maledetto». Anche per Deml la realtà è una trappola e la lingua per esprimerla non può immaginarsi discordante: «Il mondo – non a caso dice un personaggio di La luce dimenticata – è nascosto dietro il mondo».

di Massimo Tria

eSamizdat 2009 (VII) 1, 307-310

“Ho scelto questi due scrittori e li ho voluti insieme perché ambedue mordono e fanno male”. Così inizia la postfazione di Sergio Corduas a questo minuscolo e meraviglioso libretto. Ho letto molte introduzioni, postfazioni e traduzioni di questo studioso, e in particolare i suoi Teige e Mukařovský per Einaudi (si parla degli anni Settanta e poi Ottanta) sono fra i contributi a me più cari e preziosi, per la difficoltà e per l’impegno che offrire tali pensatori al pubblico italiano comportava. Qui ancora una volta, presentando due autori problematici, atipici, forse maledetti, Corduas traduce e presenta nomi pressoché ignoti alle italiche orecchie, e perciò tanto più preziosi, e lo fa con una lucidità (si veda quel capolavoro poetico che è la sua postfazione) e con un’abilità (la traduzione di Weiner è un gioco acrobatico) che si incontrano raramente, e che lui stesso non sempre riesce a raggiungere.

L’ebreo Richard Weiner e lo spretato Jakub Deml accusato di antisemitismo: i due vanno così a completare quella costellazione hrabaliana cui Corduas lavora fin dall’inizio, girandoci intorno ora con colpi di fioretto, ora con affondi di sciabola. Dopo Bohumil Hrabal stesso, di cui è uno dei più fecondi traduttori, egli diventa così l’unico ad avere affrontato e portato in Italia tutte e quattro le punte ceche del mondo ispirativo hrabaliano (Kafka era poi l’unico non boemo, la quinta punta): il peregrino Jaroslav Hašek, il vertiginoso egodeista nietzschiano Ladislav Klíma e ora questi due agitatori delle tranquille acque letterarie della prima Repubblica cecoslovacca.

La Poldi libri a sua volta è una casa editrice che pubblica letteratura ceca e che (absit iniuria verbis) si può definire minore, quanto a numero di pubblicazioni (non potrebbe essere altrimenti, data la sua giovane età e la sua specializzazione) e le modalità editoriali. Anche grazie a questa sua piccolezza essa si può permettere di sondare con coraggio degli angoli bui, che mal si accorderebbero con tirature più consistenti o con ingranaggi più ingombranti. Tutto questo sia detto per accrescere e non certo per sminuire la lode che mi sento di fare nei confronti del catalogo che Poldi libri può offrire, che annovera già un piccolo drappello agguerrito di titoli non scontati, altri ne prepara e alcuni, come nel caso specifico che qui analizziamo, sono decisamente molto preziosi.

Deml e Weiner non sono autori leggeri. Decerebrati mocciani e tamariani, ma anche potteriani e browniani se ne astengano, qui si parla di arte vera, intrisa di sofferenza. Non propongono attimi spensierati di lettura domenicale, dicono però cose piuttosto rare, che altre più inquadrabili penne non hanno già scritto cento volte. Credo che per loro calzi a pennello la formula trovata da Hrabal nell’incipit della Solitudine troppo rumorosa: bisogna “infilarli nel beccuccio” e “succhiarli come una caramella”, assaporarli come bonbon, lasciarseli sciogliere in bocca con i loro profumati veleni, senza morderli. Almeno “alla prima”, ché poi li si può rileggere con foga fulminea una seconda e una terza volta. Da un lato i due sono accomunati dalla loro eccentricità metanarrativa (Corduas commenta: “iperscritture”), e dal fatto che probabilmente avrebbero potuto imporre al mondo, se conosciuti prima e meglio, la corrente espressionista della letteratura ceca. Il critico letterario Jindřich Chalupecký aveva appunto provato a delineare questa linea oscura e problematica della letteratura ceca, in opposizione alla felicitologia delle avanguardie più note, come il poetismo di Karel Teige e del primo Seifert, e ai luoghi comuni del parlamentarismo borghese ceco (si veda J. Chalupecký, Expresionisté, Praha 1992). D’altro canto però questi loro due testi sono opposti quanto a distanza fra autore, narratore e soggetto descritto. Ché se Weiner ci guida per le stradine impervie e scoscese di un paesino immaginario attraverso le montagne russe sintattiche di una vicenda a metà fra il surreale e il patologico, d’altro canto Deml prova invece con disperazione esodermica a farci aderire a una vicenda fin troppo reale, quella della sua anticonformista autobiografia.

Ma andiamo per ordine: nella sua bella e pertinente prefazione Salvatore Marchese scrive che Weiner potrebbe essere definito uno scrittore “erroneamente considerato in vita un surrealista” ma le cui corde forse vanno ricondotte “a un filone espressionista”. Cosa vuol dire? Vuol dire che leggendo Weiner ci perderemo (leggi: “fisicamente”; leggendo Deml invece ci perderemo “moralmente”). Vuol dire che la sua Assemblea generale, prima che una riunione di notabili e signorotti del luogo, è un labirinto di parole che si fanno percorso esteriore sui meandri della psiche: labirinto espressionista nel suo essere spigoloso, visibile e sovraesposto, surrealista nel modo conturbante con il quale tale spigolosità rivela procedimenti psichici nascosti e strani percorsi mentali. Leggere l’Assemblea generale è dunque come osservare l’interno di un vulcano dalla superficie di vetro di un acquario, seguendo una strada tutta curve: si intravede un segreto, balugina la soluzione di un mistero, ci sembra di iniziare a capire il meccanismo della narrazione, sta per condensarsi un gruppo di personaggi e di ambienti concreti, ma subito Weiner ci costringe a svoltare, a ritornare in un mondo indistinto e fantastico, a fare marcia indietro (le sue frasi-tema ricorrenti, le divagazioni compiaciute, i simboli che potrebbero significare qualcosa, ma che sono disperatamente autoreferenziali). Si legga ad esempio la dichiarazione iniziale del narratore, con il quale egli si esime da ogni pretesa di linearità e regolarità del racconto: “a coloro che poi ci rimproverano di non conoscere le regole di composizione del racconto, i quali ritenendo […] che abbiamo perduto ogni ragione ci hanno denunciato ai giornali che ci forniscono il pane […] a tutti costoro diamo ragione, ma voltiamo loro le spalle e continuiamo” (p. 26). Ecco, Weiner, figlio di industriali che si inventa una carriera di letterato per protesta contro la guerra e per disgusto contro il mondo piccolo-borghese, scrive con le spalle girate ai lettori, e quelli sono costretti a fare capolino chinandosi in avanti per capire cosa egli voglia intendere. Cosa può infatti voler intendere uno scrittore con un suo breve e bizzarro racconto (tratto da una piccola raccolta del 1929), nel quale fondamentalmente non succede nulla? Il narratore, facendosi beffe del lettore, si avvicina a volo d’uccello a un’insignificante cittadina, chiamata ottocentescamente solo “N.”, individua una piazzetta, poi scorge i puntini mobili dei suoi abitanti che si dirigono a una insignificante riunione della lega antialcolica, per poi riuscire a entrare nell’insignificante sala riunioni e renderci testimoni di un altrettanto insignificante cambio al vertice di una risibile riunione di fanatici astemi. Insignificante certo, se volessimo soppesare il livello di un’opera letteraria usando la vile bilancia degli “avvenimenti” esposti. Qui le cose non avvengono, vengono invece raccontate con false partenze, con avvicinamenti illusori, con una malcelata parvenza di mistero che, complice un giro di frase elicoidale e arcaizzante, ci inchioda letteralmente nelle sue spire magiche. Qui Richard Weiner è davvero “superiore”: è superiore alla necessità di raccontare fatti reali, alla necessità di farsi capire dalle masse; egli crea un’incredibile atmosfera di beffa continua, di cui, strano a dirsi, il lettore è ben felice di essere la vittima prescelta. Come scrive Corduas in postfazione: “Pensate al labirinto dei giardini settecenteschi […] non è detto che troviate l’uscita se non vi aiutano”, o ancora, con parole che davvero non potremmo trovare più azzeccate: per trovare l’uscita dal labirinto-Weiner “il filo lo fornisce lo scrittore nel momento stesso in cui in un colpo solo prende in giro […] la propria scrittura, sé e noi lettori. Soprattutto i benpensanti cechi”. I benpensanti che sono ben rappresentati nell’assemblea eponima, quella della locale lega antialcolica che deve eleggere il suo nuovo presidente. Va detto infatti che, fra tutti i fenomeni di protezionismo e integralismo moralista, quello di una lega degli astemi è in Repubblica ceca tanto caratteristico e al tempo stesso fuori luogo come un’ipotetica Associazione mariana antibestemmia nel mezzo della Toscana. È risaputo che per i cechi l’abbondante consumo di birra può essere ben inteso come parte integrante delle tradizioni culturali del paese, che lungi dall’essere esclusivamente fonte di rovina fisica, è (se mantenuto entro certi limiti) uno dei catalizzatori della discussione culturale e dello scambio amichevole di opinioni che vede lahospoda, la birreria quale luogo di incontro del meglio dell’intelligencija accanto alla più varia rappresentanza di tutte le altre fasce sociali. Non è dunque peregrino ricordare che tali associazioni parallele e omologhe ad Armate della salvezza da operetta e a circoli ultracattolici sono state ben presenti nella storia delle terre ceche, soprattutto con l’inizio del XX secolo (si veda ad esempio un interessante articolo di ricostruzione storica sul numero 4 del 2009 della rivista Dějiny a současnost). E anche nell’ambito della stessa letteratura ceca, va ricordato almeno l’esempio dell’anarcoide Jaroslav Hašek che a sbeffeggiare simili circoli salutistici ha dedicato qualche sua sapida pagina.

Davvero dunque, anche in quest’ottica di beffa nazionale e di battaglia allegramente persa in partenza, queste quaranta paginette di Richard Weiner vi stupiranno per il loro vuoto pregnante, per il loro silenzio urlante, per la pienezza semantica di una vicenda vuota, per un’inebriante e ubriacante ondata di sobrietà analcolica.

Il secondo autore rappresentato da questo prezioso librettino è un sacerdote cattolico sui generis. In continua polemica con il mondo ecclesiastico (che lo perseguitò per i suoi atteggiamenti antitradizionali), e con la comunità letteraria (con la quale ebbe liti furibonde e polemiche accesissime), Jakub Deml fu costretto ad abbandonare la pratica sacerdotale; ma ancora una volta meglio di mille mie considerazioni dotte è il suo incipit (scelto in questo editing niente di meno che da Hrabal) a dare perfettamente il tono del suo sacerdozio non proprio da catechismo e del mondo interiore combattuto in cui si dibatté per quasi tutta la vita: “Rimpiango di non essere stato almeno donna. Se io fossi donna, mi innamorerei di Jakub Deml” (p. 69). E proprio dell’amore per una semplice contadinotta moribonda che “narra” questa Luce dimenticata, formidabile citazione para-evangelica che in un solo sintagma rapprende il martirio mentale dell’essere umano, che teme di essere stato lasciato “sotto il moggio” o di veder sprecato il proprio talento, similmente a una lucerna lasciata accesa in luogo abbandonato. Il rischio in entrambi i casi è di aver buttato un’esistenza, di non avere “illuminato” il mondo circostante, e tanto meno i meandri del proprio io tormentato. Le neanche trenta pagine di questo testo sono un montaggio che dobbiamo proprio a Bohumil Hrabal, che nel 1967 fu uno dei primi a recuperare un autore sempre in direzione ostinata e contraria. Come poteva del resto la letteratura un po’ bigotta della neonata Cecoslovacchia accettare nel suo Pantheon un prete accusato a più riprese di antisemitismo e di adulterio, di vilipendio dello stato e di collaborazionismo nazista, che in questo suo sofferto testo fatto di autobiografismo, meditazioni e lamentele contro i suoi nemici, ma anche di umiltà francescana estremista, si sofferma in considerazioni escatologiche non proprio ortodosse, come la seguente:

tutte le cosce risorgeranno dalla tomba e tra loro anche due cosce che desideravo baciare, e Dio me le assegnerà, perché è giusto e la mia eterna beatitudine consisterà nel fatto che mi sarà consentito per i secoli baciare queste due cosce, proprio in alto, proprio alle radici, perché sono poeta e prete cattolico e uomo maledetto (p. 80).

Fa bene ricordare dunque che la prima edizione del 1934 fu confiscata e in buona parte censurata.

La luce dimenticata è uno sberleffo nato per ripicca, una confessione esacerbata contro tutti e tutto, scritta da un poeta escluso dalla comunità religiosa e letteraria (mentre Weiner si era autoescluso), che ci racconta con tristissima ironia l’agonia di una delle sue passioni, una misera donnetta di campagna cui non riesce a procurare una “dolce morte”. Quella di Deml è una luce buia, arrabbiata, intimamente “luciferina” (la versione cinematografica del 1996 di Vladimír Michálek è invece solo una riduzione psicologica in chiaroscuro). È del resto naturale: Deml è un rinnegato (dai suoi vescovi, dai critici letterari, dal popolo ceco), dunque la sua rabbia di pretonzolo disobbediente e sensualista non può che nascondere un che di diabolico. La luce dimenticata è la testimonianza straziante di una vita inutile, quella di un “demone meschino” di sologubiana memoria, ovvero di un grande peccatore che scriveva a volte in “stato di grazia”.

Entrambi scomodi e scabrosi dunque, entrambi battitori liberi all’interno di un modernismo del monologo interiore e della coscienza agitata, di un esistenzialismo ante-litteram (soprattutto Deml) e di un surrealismo strisciante che si traveste da normalità ossessiva (soprattutto Weiner). Outsider che hanno dovuto faticare non poco per entrare nelle storie della letteratura a volte un po’ bacchettone del loro paese post-asburgico incastonato nel centro Europa. È bene che ora li facciamo entrare come si meritano nelle biblioteche italiane.